Per la maggior parte della mia vita lavorativa mi sono occupato di siti web, nelle loro varie forme. E per buona parte del tempo non ho potuto scegliere davvero il carattere tipografico di quei siti.
Fino a più o meno il 2010 un designer di siti web poteva proporre un font, poi era il sistema operativo che decideva. Di default una pagina web mostra il Times New Roman, attraverso una riga di codice lo si può cambiare, non indicando un carattere preciso, ma una lista di alternative: usa l’Helvetica, se non c’è l’Arial, se no un qualsiasi sans-serif del sistema operativo.
Per un lungo periodo, quando si progettavano pagine web si potevano usare solo font “sicuri”. Di quelli che sicuramente erano installati su tutti i computer. Non so bene come collocare questa riflessione, ma il web nasce rinunciando al controllo tipografico.
Per chi si occupava principalmente di graphic design era difficile da accettare. Un carattere tipografico è determinante per definire, tono e voce. È l’attore che recita una scena, per usare una metafora di Tobias Free-Jones. A seconda del tipo di font che si utilizza, cambia credibilità, autorevolezza, atmosfera.
Forse è stata questa costrizione alla scelta di font “sicuri” a farmi maturare un interesse enorme per i caratteri tipografici, come è successo a molti designer che hanno cominciato in quegli anni: a volte passo più tempo a cambiare font che a guardare il contenuto. Mi viene in mente quell’articolo di Michael Beirut, quando racconta che dopo aver lasciato lo studio Vignelli – che notoriamente sosteneva che bastavano solo cinque font per fare qualsiasi cosa – usò 37 font in 16 pagine per un progetto1.
Negli anni sono stati usati vari espedienti per aggirare il problema, e poter usare font diversi. Spesso i titoli erano delle immagini, per poter dare un po’ di personalità al design. Espedienti che sacrificavano accessibilità, leggibilità e performance.
Poi la tecnologia comincia ad evolversi. Vengono introdotte nuove funzionalità nei codici che permettono di costruire pagine web (nello specifico il CSS) e cominciano a nascere servizi che permettono di usare qualsiasi carattere grafico, pagando un abbonamento (vedi Typekit, poi diventano Adobe Fonts) o gratuitamente come Google Fonts. Si passa dal “posso usarlo questo font” al “ha senso usare questo font”. Ed emerge quindi l’esigenza, anche per chi progetta siti web, di conoscere i caratteri tipografici. Conoscere la storia, le forme:
Sarah Hyndman, autrice di Why fonts matter2, scrive che un font non è solo un font, ma è un sapore, un odore, un ricordo, un’aspettativa. «I font trasformano le parole in una storia» e hanno la capacità di cambiare il modo in cui un messaggio o un’informazione viene assorbita3.
Micro esercizio
Scaricate l’estensione WhatFont (o una simile, a seconda del browser che usate). Mentre navigate, usatela per capire quale font viene utilizzato nella pagina. Una volta individuato fatevi qualche domanda: l’avete già visto? Vi sembra coerente con il contenuto? Che tono o aspettativa produce?
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Michael Bierut ne ha scritto in vari articoli, vi suggerisco questo con i tredici modi di guardare un carattere tipografico: Thirteen Ways of Looking at a Typeface (2007), pubblicato su Design Observer. ↩
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C’è anche una traduzione in italiano: A che servono i font, tradotta da Postmedia Books. ↩