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Libri letti nel 2024
Con cinque segnalazioni
Ogni anno, per fare questo resoconto delle letture fatte, apro la pagina dove le raccolgo e provo a capire cosa ricordo di quei libri. Di alcuni ricordo i passaggi, di altri il momento (dove li ho letti, in che periodo dell’anno, cosa stavo facendo) e la sensazione. Poi vado a rileggermi le note e le sottolineature.
Ho un piacevole ricordo de La parete di Marlen Haushofer, un libro del 1970. Anche se succede poco, almeno per i canoni moderni, le riflessioni della protagonista erano un continuo stimolo alla lettura.
Le cose semplicemente accadono, e io, come milioni di esseri prima di me, vi cerco un significato, perché la mia vanità m’impedisce di ammettere che l’unico significato di un evento consiste nell’evento stesso.1
Forse “piacevole” non è l’aggettivo giusto, ma non so bene come descrivere la sensazione. Ero proprio contento di leggere La parete, come lo sono stato di La ragazza del convenience store o di Coventry di Rachel Cusk, di cui ho letto quasi tutto e mi è piaciuto tutto.
Non scrivo spesso di libri che non mi sono piaciuti, anche perché se non mi piacciono li abbandono e li escludo da questa lista. Segnalo comunque La seconda onda di Arthur C. Brooks. Leggo spesso i suoi articoli su Internazionale, e ci trovo sempre spunti utili. Il tema del libro, legato all’invecchiamento mentale, sembrava stimolante e adatto a me, ma non lo era. Mi è parso più un manuale di auto-aiuto per persone ricche e di successo, con consigli su come affrontare il calo di rilevanza percepita.
Non avevo mai letto Realismo capitalista, anche se in qualche modo l’avevo letto. I testi e le tesi di Mark Fisher mi erano familiari grazie ad altre cose lette, viste e ascoltate.
Dopo Sapiens, sono interessato a tutto quello che scrive Yuval Noah Harari, soprattutto come lo scrive. Del suo nuovo ultimo Nexus ho molto apprezzato la descizione e la breve storia dell’informazione.
Contrariamente a quanto sostiene la visione ingenua, l’informazione non ha un legame essenziale con la verità e il suo ruolo nella storia non è quello di rappresentare una realtà preesistente. Il suo ruolo è piuttosto quello di creare nuove realtà legando insieme elementi diversi, che si tratti di coppie o di imperi. La sua caratteristica distintiva è la connessione più che la rappresentazione; l’informazione è ciò che collega punti diversi in una rete.2
Nella seconda parte, Harari parla di AI e dei possibili effetti negativi che potrebbero avere in vari ambiti. Mostrando sia scenari catastrofici che situazioni già attuali.
Ho letto due libri di Nello Cristianini, informatico e professore di Intelligenza artificiale presso l’Università di Bath: La scorciatoia e Machina sapiens. Anche Cristianini, come Harari, esprime preoccupazioni sulle AI, ma allo stesso tempo descrive il funzionamento e aiuta a capirne meglio i meccanismi.
Cristianini cita alcuni studi svolti dall’Università di Stanford e da Facebook su BERT, un modello linguistico più piccolo e semplice e quindi più facile da studiare e addestrare, che hanno messo in evidenza l’ermgere spontaneo di alcune competenze di questi sistemi. Come l’abilità di ChatGPT di rispondere alle domande che gli facciamo. All’inizio doveva solo prevedere la parola successiva in una sequenza di parole.
In altre parole, l’algoritmo aveva spontaneamente scoperto che le sequenze di parole erano spiegate da una struttura gerarchica in cui alcune parole dipendono da altre, e aveva trovato un modo di stabilire quali parole dipendono da quali altre parole: ovvero le regole della sintassi. Tutto ciò che il modello era stato spinto a fare era predire le parole mancanti, il resto era emerso spontaneamente.3
Quello che gli esami avevano rivelato era che i moduli di BERT si erano spontaneamente specializzati in modo da eseguire quello che tutti impariamo a scuola, quando studiamo la grammatica e la sintassi, e che oggi fa parte della classica sequenza di elaborazione automatica dei testi.4
Sotto c'è un breve approfondimento su cinque libri. Libri che, a memoria, mi sembra di aver commentato e citato più spesso quest’anno.
Perché ricordiamo
Ho incrociato questo libro durante un giro in libreria. L’ho poi comprato quasi subito perché è un tema che mi interessa: a che servono i ricordi, come ricordiamo, come e perché si modificano.
La memoria è molto, molto di più di un archivio del passato, è il prisma attraverso il quale vediamo noi stessi, gli altri e il mondo. È il tessuto connettivo alla base di ciò che diciamo, pensiamo e facciamo.5
L’autore, Charan Ranganath, docente di Psicologia e Neuroscienze presso l’Università della California a Davis, spiega in maniera molto chiara tutti i meccanismi legati alla memoria.
Scrive degli studi condotti sulla memoria episodica (supportata dall’ippocampo) e del senso di familiarità (supportata dalla corteccia peririnale).
La memoria episodica, concetto introdotto da Endel Tulving nel 1972, ci permette di richiamare e rivivere eventi passati. Il senso di familiarità è una sensazione generica di riconoscimento, come sapere che qualcosa è noto, ma senza un richiamo esplicito di dettagli episodici o contestuali. C’è poi la memoria semantica (sempre Endel Tulving), collegata alla capacità di ricordare cose o conoscenze a prescindere da quando sono state apprese (come la capitale di uno Stato).
La memoria semantica e il senso di familiarità riflettono ciò che abbiamo visto in passato, ma la memoria non si limita a immagazzinare le conoscenze o a tenere traccia di ciò che abbiamo visto: indica ciò che possiamo e dobbiamo fare in futuro.6
È interessante che la memoria semantica rimanga solida con l’invecchiamento, al contrario di quella episodica. Con l’avanzare dell’età diminuisce la necessità di apprendere cose nuove e aumenta quella di condividere le conoscenze.
Il nostro cervello è progettato per gestire informazioni piuttosto che ricordarle. Più ripensiamo a eventi del passato più tendiamo a manipolarli. Ogni volta che rievochiamo un evento, la memoria si aggiorna accumulando nuove informazioni, tanto da farci fare un viaggio nel tempo durante il quale, ad esempio, un primo appuntamento si trasforma da goffo a un capolavoro di seduzione.
L’attenzione rubata
Johann Hari fa un’interessante panoramica di tutti gli aspetti legati all’attenzione e alla concentrazione. Riprende studi e intervista degli esperti, mettendo in evidenza anche le contraddizioni che ne vengono fuori. Leggendo ho avuto la sensazione di averlo già letto. Altri libri o articoli che ho letto citano molti di questi studi. Mentre lo leggevo, mi ha ricordato anche 8 secondi di Lisa Iotti, non solo nei contenuti, ma anche nella struttura. Entrambi gli autori sono giornalisti ed entrambi cominciano raccontando la loro esperienza da disconnessi per un breve periodo.
Uno studio del professor Michael Posner della University of Oregon ha scoperto che, se vi state concentrando su qualcosa e venite interrotti, mediamente ci vorranno ventitré minuti perché possiate tornare allo stesso livello di concentrazione.7
L’attenzione rubata è ben scritto e molto ben documentato. Affronta la questione dell’attenzione non solo dal punto di vista della tecnologia, ma anche trattando i cambiamenti della società, legati all’educazione dei figli: iperprotettiva e che supervisiona ogni attività.
L’idea che i bambini non possano giocare all’aperto senza incorrere in pericoli non è mai esistita nella storia dell’umanità. I bambini hanno sempre giocato insieme, per la maggior parte del tempo senza la diretta supervisione di un adulto. [...] È stato così per tutta l’umanità. Dire improvvisamente no, è troppo pericoloso, è come dire che i bambini dovrebbero dormire a testa in giù”. È un ribaltamento di ciò che ogni precedente società umana ha ritenuto vero.8
Molti di questi temi li ritroverete anche in Generazione ansiosa di Jonathan Haidt.
Menti tribali
Ho letto Menti tribali (pubblicato nel 2012) a inizio anno. A fine anno ho letto Generazione ansiosa, che ho trovato meno illuminante, un po’ ripetitivo e con troppe opinioni, nonostante il notevole lavoro fatto sui dati. Forse perché avevo già letto altri libri e articoli sull’argomento. (Ve ne ho segnalato uno poco sopra, L’attenzione rubata).
In Menti tribali, Haidt fa un resoconto divulgativo delle sue ricerche sulla psicologia morale. Descrive il ruolo della moralità, evolutasi come un meccanismo per favorire la coesione di gruppo e la cooperazione, essenziali per la sopravvivenza umana. Parla del meccanismo con cui si forma. In parte, la moralità è innata, la paragona alla capacità linguistica: nasciamo con una predisposizione biologica alla moralità, proprio come siamo predisposti a imparare una lingua. In parte, la moralità è plasmata dal contesto culturale e dalle esperienze personali.
Haidt all’inizio del libro usa la metafora del portatore e dell’elefante per descrivere razionalità e processi automatici (come le intuizioni e le emozioni).
I processi automatici della mente, evolutisi per centinaia di milioni di anni, sono estremamente efficienti e costituiscono la base del funzionamento umano. Con lo sviluppo del linguaggio e del ragionamento nell’ultimo milione di anni, il cervello non ha delegato il controllo a questi nuovi strumenti, ma li ha sviluppati per servire i processi automatici, come un portatore che supporta l’elefante, simbolo di tali meccanismi istintivi.
Il portatore è una specie di avvocato difensore dell’elefante, che a posteriori giustifica azioni e giudizi. Secondo Haidt lo si può paragonare al suo addetto stampa.
Dati i giudizi (prodotti dai meccanismi cognitivi inconsci nel cervello, a volte correttamente, altre no), gli esseri umani forniscono spiegazioni razionali che sono convinti giustifichino i loro giudizi. Ma le spiegazioni razionali (su questo argomento) sono solo razionalizzazioni a posteriori.9
Il primo libro di teoria dell’immagine
Andrea Pinotti è docente di Estetica alla Statale di Milano e in questo suo nuovo libro introduce le principali teorie sulle immagini. In ogni capitolo si affronta un argomento, accompagnato da «un innesco visivo, che mette sul tavolo il problema in gioco», che si tratti di percezione, sguardo o stile.
A un certo punto, Pinotti cita Sontag e in quel momento mi sono messo a rileggere Sulla fotografia, che non ricordavo fosse un libro del 1977.
«Ogni fotografia attende d’essere spiegata o falsificata da una didascalia», ha osservato Susan Sontag.10
Nel libro si affronta anche la questione delle immagini digitali, create con l’aiuto di un software o generate direttamente.
Se nella realizzazione tradizionale dell’immagine fotografica si inseriva di necessità uno scarto temporale fra la cattura del reale (l’input), la sua esibizione (l’output) e la sua eventuale successiva manipolazione (l’editing), nell’immagine algoritmica si verifica una simultaneità di produzione e trasformazione, di input e output. Si tratta di una trasformazione radicale dell’esperienza tradizionale dell’immagine fotografica, che spesso viene ricondotta in studi recenti sotto la categoria di «postfotografia», proposta fra gli altri da Geoffrey Batchen e Joan Fontcuberta.11
Come il design trasforma il mondo12
Quando, oltre dieci anni fa, iniziai, per lavoro e interesse, a documentarmi sul lavoro da remoto, più di una persona mi consigliò un libro appena uscito: The Year Without Pants. Era il 2013, Scott Berkun, in quel libro, raccontava la sua esperienza in Automattic (quelli di WordPress) e il loro modo di gestire il lavoro da remoto, praticato da poche aziende all’epoca. Oggi molte più aziende (anche grazie alla spinta del COVID) hanno preso confidenza con quelle dinamiche, non tante nelle dimensioni e le modalità di Automattic.
Il libro lo trovai molto utile. Non l’ho più riletto, quindi non so come potrebbe apparire oggi, ma ricordo che all’epoca mi aiutò a comprendere meglio un tema che non conoscevo. Da allora seguo Berkun, che nel frattempo si è dedicato ad altre attività.
Come il design trasforma il mondo è uscito nel 2020 e ho cominciato a leggerlo in inglese, appena uscito. L’ho poi abbandonato, quando ho scoperto che era uscita una versione in italiano, l’ho acquistata e ho proseguito la lettura.
Il libro di Berkun non è un manuale, ma un libro divulgativo, che si pone l’obiettivo di spiegare anche ai non designer cos’è il design e cosa fa il designer.
Vi riporto sotto alcune sottolineature della parte che ho letto in inglese e di quella che ho letto in italiano:
As book designer Douglas Martin explains, “The question about whether design is necessary or affordable is beside the point. Design is inevitable. The alternative to good design is bad design, not no design at all.”13
Even though design is a profession, every person in the world is a designer in some way. Everyone designs something. It might be the arrangement of furniture in a living room, or the placement of items on an office desk. Even arranging icons on the home screen of a mobile device or the background images for a social media profile are acts of design. They share the same elements of deciding on a goal, even if it’s implicit and subconscious, and then making choices to fulfill it.14
I principi di Paul Mijksennaar, uno dei progettisti del sistema di orientamento dell’aeroporto di Schipol di Amsterdam, noto per il suo eccellente design:
Continuità: le informazioni offerte per un’attività vengono ripetute, con la frequenza appropriata, fino al completamento dell’attività o al raggiungimento della destinazione.
Scopribilità: le informazioni giuste dovrebbero essere quelle più facili da notare al momento giusto, e oggetti diversi non dovrebbero mai competere per l’attenzione dell’utente.
Coerenza: si dovrebbero utilizzare sempre le stesse icone, e gli stessi colori e termini. Un “ristorante” non dovrebbe diventare uno “snack bar”. Termini, colori e altri elementi dovrebbero essere appresi solo una volta e poi rimanere invariati.
Chiarezza: il significato di ogni messaggio deve essere chiaro al numero maggiore possibile di persone, anche se parlano un’altra lingua.15
Oltre al libro in sé, vi consiglio anche il sito dedicato al libro, soprattutto la sezione dedicata alle letture che hanno aiutato Berkun a scriverlo. È una pagina che consulto quando sono in cerca di qualcosa da leggere.
-
Marlen Haushofer, La parete, Edizioni e/o, 2013 ↩
-
Yuval Noah Harari, Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall'età della pietra all'IA, Bompiani, 2024 ↩
-
Nello Cristianini, Machina sapiens, Il Mulino, 2024 ↩
-
Ibid. ↩
-
Charan Ranganath, Perché ricordiamo, Aboca, 2024 ↩
-
Ibid. ↩
-
Johann Hari, L’attenzione rubata, La Nave di Teseo, 2023 ↩
-
Ibid. ↩
-
Jonathan Haidt, Menti tribali, Codice, 2021 ↩
-
Andrea Pinotti, Il primo libro di teoria dell’immagine, Einaudi, 2024 ↩
-
Ibid. ↩
-
Dal numero 007 della versione giornaliera, e temporanea, di Dispenser. ↩
-
Scott Berkun, How Design Makes the World, Scott Media, 2020 ↩
-
Ibid. ↩
-
Scott Berkun, Come il design trasforma il mondo, Tecniche Nuove, 2022 ↩
L’elenco completo delle letture del 2024
- Ricompense, di Jem Calder
- Machina sapiens, di Nello Cristianini
- Come il design trasforma il mondo, di Scott Berkun
- L'estetica dell'intelligenza artificiale, di Lev Manovich
- Perché ricordiamo, di Charan Ranganath
- La generazione ansiosa, di Jonathan Haidt
- Per una frazione di secondo, di Guy Delisle
- Il fuoco che mi porto dentro, di Antonio Franchini
- Nexus, di Yuval Noah Harari
- Il primo libro di teoria dell'immagine, di Andrea Pinotti
- Java Road, di Lawrence Osborne
- La ragazza del convenience store, di Murata Sayaka
- Parla mentre mangi, di Alberto Grandi
- La parete, di Marlen Haushofer
- L'alta leggibilità (non) esiste?, di Luciano Perondi
- La scorciatoia, di Nello Cristianini
- Quando muori resta a me, di Zerocalcare
- Il costo della vita, di Deborah Levy
- Tasmania, di Paolo Giordano
- Coventry, di Rachel Cusk
- 300 Arguments, di Sarah Manguso
- La seconda onda, di Arthur C. Brooks
- Il fuoco invisibile, di Daniele Rielli
- L'attenzione rubata, di Johann Hari
- In un batter di ciglia, di Malcolm Gladwell
- Menti tribali, di Jonathan Haidt
- La Cina è già qui, di Giada Messetti
- Realismo capitalista, di Mark Fisher