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Why graphic culture matters

Aggiunto al carrello

“Aggiunto al carrello” è una rubrica in cui segnalo libri che in qualche modo mi hanno incuriosito, ma che non ho acquistato né letto.

A Rick Poynor dobbiamo Eye, una delle migliori riviste sul graphic design e la comunicazione visiva. L’ha fondata e se ne è occupato direttamente dal 1990 al 1997, poi ha fatto altro, ma ha continuato a scriverci. Per diciassette anni ha tenuto una rubrica su un’altra nota rivista di graphic design, Print. È stato uno dei fondatori del blog collettivo Design Observer, assieme, tra gli altri, a Michael Bierut. È docente di design e cultura visiva all’Università di Reading.

Poynor non è un grafico di professione, non se ne occupa dal punto di vista pratico, ma se ne occupa dal punto di vista critico.

Tra i suoi libri pubblicati in passato, segnalo No More Rules: Graphic Design and Postmodernism (2001)1. Un libro che piacerà molto a chi negli ultimi anni ha provato a dare un nome al graphic design senza regole, definendolo brutalism graphic design.

Molti dei suoi articoli li trovate negli archivi online di Design Observer e Eye.


Questa breve presentazione di Rick Poynor serve a introdurvi il suo nuovo libro, subito aggiunto al carrello, Why graphic culture matters. Una raccolta di 46 saggi, scritti da Poynor negli ultimi vent’anni.

Scrive nella sinossi, Occasional Paper, la casa editrice che pubblica il libro:

La raccolta è divisa in tre sezioni tematiche. Gli argomenti spaziano dalla commercializzazione del design, alla critica e storia del design, all’interazione tra parole e immagini, alla celebrità nel design, al canone, all’autorialità grafica, alle forme critiche di pratica, all'intima relazione tra arte e design, e alla riflessione su quanto il termine “graphic design” sia ancora appropriato per descrivere l’attività dei comunicatori grafici. (corsivo, mio)


Poynor, in un’intervista su Design Reviewed, dice che spesso i grafici sono riluttanti a discutere o commentare pubblicamente i lavori altrui. E di solito, quando parlano di grafica, si concentrano principalmente sui processi e sul mestiere di designer, del mestiere in sé. Il suo obiettivo è invece quello di descrivere come il design funziona nel mondo. La sua preoccupazione principale è la cultura grafica, vista come un aspetto centrale della società.

Nel libro, e nell’intervista, affronta Poynor affronta il tema della commercializzazione della grafica. Negli anni ’80 e ’90, racconta, il graphic design viveva un periodo di grande vitalità:

Quando ho iniziato a scrivere di grafica, alla fine degli anni Ottanta, era una disciplina in crescita. I designer erano consapevoli del loro ruolo essenziale nella comunicazione, sicuri del valore del loro lavoro. Era un’epoca di sperimentazione grafica e tipografica, sostenuta anche dalle nuove tecnologie digitali. C’era una stampa di settore vivace e un’attenzione diffusa per la storia del design.

Ma questa fiducia creativa, prosegue, si è progressivamente ridotta:

Negli anni Novanta i designer hanno dovuto accettare i nuovi imperativi del branding e, dopo il 2000, quel modo di intendere il design ha preso il sopravvento. Molti oggi vedono il loro compito principale come consulenza di marca. È una grande perdita: la considero un duro colpo alla nostra cultura grafica pubblica, che un tempo era molto più inventiva, imprevedibile, vibrante e libera.

Nel suo libro No More Rules: Graphic Design and Postmodernism, Poynor documentava come le vecchie certezze sulle tecniche e sugli scopi del graphic design fossero messe in discussione fino a crollare. Questo portava a un lavoro grafico più espressivo, idiosincratico e a volte estremo. A distanza di vent'anni, questa libertà sembra essersi persa verso un design più standardizzato.

Un fenomeno simile è avvenuto nel mondo digitale: dopo una prima fase di sperimentazione agli inizi degli anni 2000, nell'ultimo decennio la direzione è stata sempre più verso coerenza, pattern e design system.

la copertina di Why design culture matter Design Bible

  1. L’avevo comprato su Amazon a pochi euro, ora vedo che il costo è aumentato, ma la vecchia edizione (con la copertina più bella, secondo me) è ancora intorno ai 10 €. In ogni caso, per dare uno sguardo, potete prenderlo in presito per un’oretta, su Archive.org