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Mono is the new black

Aggiunto al carrello

Qualche giorno fa, scorrendo le schermate sul mio telefono, mi è apparso un libro (ve ne parlo tra poco) che subito mi ha incuriosito. Di solito, quando succede, aggiungo il libro al carrello, come promemoria. A volte lo aggiungo realmente a un carrello di qualche negozio online (sì, è quello a cui state pensando), a volte diventa una voce di una generica lista “libri che vorrei comprare”.

Dopo aver aggiunto al carrello quel libro (del quale vi parlerò tra poco), ho inviato un paio di messaggi ad amici che avrebbero di sicuro apprezzato. A quel punto, ho pensato che avrei potuto scriverne qui e, magari, come fanno quelli che hanno un blog, inventarmi una rubrica da chiamare proprio Aggiunto al carrello.

L’idea sarebbe quella di segnalare libri incrociati o scoperti in qualche modo, che mi hanno incuriosito, senza averli acquistati o letti.


Il primo libro di questa (forse) nuova rubrica Aggiunto al carrello è Mono is the new black. Appena mi è apparsa la sua copertina, senza leggere nient’altro, ho pensato: “ti stavo aspettando”.

L’anno scorso è uscito un altro libro sui monospaziati, pubblicato da Slanted, che ha suscitato la stessa reazione, anche se poi non l’ho comprato.

Breve nota sui monospaziati

I font monospaziati sono nati per le macchine da scrivere e derivano da un’esigenza tecnica: il carrello delle macchine da scrivere spostava la carta alla stessa distanza ogni volta che si premeva un tasto, indipendentemente dalla lettera selezionata; di conseguenza ogni lettera doveva occupare la stessa larghezza.

Su tutti i computer è installato uno dei più noti monospaziati: il Courier. Progettato nel 1955 da Howard Kettler per le macchine da scrivere della IBM. All’epoca IBM decise di non applicare il copyright al Courier, e in poco tempo divenne lo standard nell’industria delle macchine da scrivere. Successivamente fu rivisitato da Adrian Frutiger per la IBM Selectric.

I monospaziati «non sono stati inventati per vincere concorsi di bellezza»1, ma negli anni la loro estetica ha attratto sempre più persone, per ragioni diverse. Li usano gli sviluppatori per scrivere codice. Molti (me compreso) li usano per scrivere un qualsiasi testo (come questo articolo). Sono usati in progetti grafici di vario tipo, come elemento distintivo di design. Questo rinnovato interesse e utilizzo per i monospaziati ha fatto sì che quasi tutte le fonderie digitali ne abbiano almeno un paio in catalogo. Sono sempre più curati, più belli, più funzionali, in famiglie numerosissime.

Anche io ho subito il fascino dei monospaziati e qualche anno fa ho cominciato a raccoglierli, condividendo la raccolta in uno spazio Notion (da cui prima o poi ricaverò un sito web). Quindi, dopo aver visto la copertina di Mono is the new black, l’aggiunta al carrello è stata automatica.


La sinossi

Sul sito di Niggli, la casa editrice che pubblica il libro, la sinnossi parla di un libro diviso in tre parti.

Una prima parte, più storica e di approfondimento, dove si parla del ruolo dei monospaziati, dalle macchine da scrivere al «loro status di culto nella scena del design (soprattutto giovane)». Una seconda parte in cui sono raccolti progetti grafici che utilizzano questo particolare tipo di carattere tipografico, e una terza parte con una panoramica su 175 monospaziati.

Mono is the new black
Mono is the new black
Mono is the new black

  1. Monospaced fonts, Matthew Butterick