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La copertina secondo Richard Turley
Estratti da un’intervista all’art director del settimanale Bloomberg Businessweek
Sul numero 18 di Studio (che trovate in edicola o in libreria) c’è un articolo dedicato a Richard Turley.
Richard Turley nel 2009, lascia il suo lavoro presso il Guardian accanto a Mark Porter, per ridisegnare da creative director il settimanale economico Bloomberg Businessweek. A quel tempo la rivista era in fase di rilancio e in pochi anni è diventato uno dei progetti editoriali più celebrati e conosciuti. «Il settimanale economico che piace anche a chi non si occupa di economia» (scrive Studio).
Nell'articolo di Studio è riportato un estratto del testo di Turley, apparso sul recente libro di Francesco Franchi Designing News, Changing the World of Editorial Design and Information Graphics, che parla di come ha cominciato a progettare la rivista:
Ho usato un sistema modulare a griglia basato su uno che avevo imparato con Mark Porter al Guardian. Ho usato il font Helvetica perché sapevo che Christian Schwartz aveva iniziato a lavorare a un suo rimaneggiamento quando il Guardian aveva cambiato design. Mi piaceva anche l’idea di usare un font così prevedibile e noioso […] Se c’erano rischi in quel design stavano nel fatto che l’Helvetica è un carattere abusato e tedioso, e basare un redesign su di esso potrebbe essere considerato abbastanza ardito.
Turley prosegue poi parlando con una delle cose più interessanti del suo lavoro in questi anni, la copertina:
Cos’è una copertina, comunque? Una volta era una pubblicità — un’immagine e una raccolta di contenuto abbreviato che vendeva i 100 o più fogli di carta a cui la cover era attaccata. Ora è più di questo. È un file di un’immagine jpeg che viene spedito dovunque nel mondo via Twitter, Tumblr, Flickr, di cui si blogga, che viene inoltrato, di cui scrivono i giornali stessi, che si colleziona, che viene vagliata, inserita nei board di Pinterest, salvata, aggiunta ai preferiti, lodata, odiata e spesso contorta al di fuori di ogni proporzione.
Perciò, a dirla tutta, è più una pubblicità oggi di quanto non sia mai stata. Se non fosse che oggi è uno spot di un marchio, un biglietto da visita del tuo prodotto e del tuo giornalismo qualunque forma assuma, sia su carta che sui siti, che sul telefono, su iPad, sui canali tv, dappertutto.
L’anno scorso Richard Turley e il suo team sono stati Design Studio of the Year per Creative Review che non ha premiato un studio classico, ma un team interno, con questa motivazione:
We have chosen to recognise an in-house design team which has had an enormous impact on its industry. Under creative director Richard Turley, (not forgetting editor Josh Tyrangiel) Bloomberg Businessweek has trounced its rivals with a verve and energy that recalls the heyday of the printed magazine.
Update: L’articolo è stato pubblicato anche sul sito di Studio