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Fotografare gli schermi

Note su un possibile articolo

Quando usavo con più costanza i social (soprattutto il fu Twitter) mi divertivo a scrivere titoli improbabili (o quasi) per possibili saggi. (Ognuno si diverte a modo suo). Il format era: Saggi che meriterebbero di essere scritti: [Titolo improbabile (o quasi)]. Condivido sotto qualche titolo:

  • Scusa se ti rispondo in ritardo
  • Sopravvivere alla scomparsa di un file
  • Dimenticare le password
  • Attendere un upload
  • Il magico potere di “ordina per data di modifica”
  • Fotografare gli schermi
  • Poco fa era online
  • Intanto facciamo così, poi lo sistemiamo
  • Lo sistemiamo dopo, con calma (il seguito di quello di prima)

Tempo fa avevo anche provato a dare seguito a quei titoli. Vi riporto sotto appunti e note di un possibile breve articolo sul “fotografare gli schermi”.


Quando ho provato a scrivere l’articolo sul fotografare gli schermi, ho sperimentato diversi incipit. In uno scrivevo che CleanShot X è uno dei primi software che installo ogni volta che cambio Mac. In un altro raccontavo un episodio che probabilmente è capitato a chiunque:

Qualche giorno fa ho avuto un problema con il mio sito web e ho scritto un messaggio per chiedere aiuto. La prima risposta è stata: “Ok, mandami uno screenshot”.

Buona parte del mio lavoro lo svolgo davanti a uno schermo, come succede anche a voi, immagino. Occupandomi di progettazione di interfacce digitali (per web o app), mi ritrovo di continuo a fotografare gli schermi per varie esigenze: ispirazione, revisione, analisi, segnalazioni.

Quando ho scritto quel tweet usando la parola “fotografare”, non sapevo ancora che la prima fotografia di uno schermo è stata una vera fotografia.

Prima che i sistemi operativi integrassero la funzione di “cattura schermo”, per riprendere una schermata si scattavano fotografie. Lo faceva IBM, con i suoi primi computer, per documentare l’output di un certo software. Secondo alcune ricostruzioni, il primo screenshot potrebbe essere avvenuto nel 1956, con l’immagine di una pin‑up1.

Quello che è considerato il primo screenshot loading:lazy
Il primo screenshot (forse)

Provando a documentarmi sugli screenshot ho individuato alcuni aspetti che potrei esplorare, dovessi un giorno poi scrivere un articolo: documentazione, memoria e nostalgia, archiviazione, condivisione.

Mi sono salvato l’articolo di Francesco Ciaponi su Artribune:

Lo screenshot è un modo per (di)mostrare agli altri ciò che si sta facendo o vedendo, una forma di archiviazione o più banalmente una sorta di bloc notes con cui fissare – come nel mio caso – notizie relative a orari e appuntamenti. Lo usiamo per mettere al sicuro biglietti di viaggio da mostrare, mappe e indicazioni stradali, o, ancora, per mostrare al supporto tecnico del caso gli odiosi messaggi di errore o i problemi software.2

Gli screenshot funzionano come agenti di memoria. Riguardando vecchi screenshot, la memoria torna a quel momento, con anche un senso di nostalgia. Un po’ come per le fotografie. Appunto mentale: dovrei rileggere Sulla fotografia di Susan Sontag.

Un altro articolo che ho salvato è Screen Memories di Kelly Pendergrast per la rivista Real Life (peccato che abbia chiuso qualche anno fa). Pendergrast parla di screenshot come di un documentario:

[…] Ogni screenshot è un documentario. Un documentario su ciò che ho trovato divertente o degno di condivisione in quel momento, un resoconto di come internet o un’app apparivano al secondo dello scatto, e un documento di tipo di file, metadati e convenzioni di nomenclatura3.

Dell’articolo di Pendergrast ho trovato riprende la definizione di “social photograph” che Nathan Jurgenson sviluppa nel suo libro The Social Photo: On Photography and Social Media. Le fotografie sociali sono «immagini quotidiane scattate per essere condivise», «la loro esistenza come oggetto mediatico a sé stante è subordinata alla loro esistenza come unità di comunicazione». Un po’ come gli screenshot.

Questo post è stato originariamente pubblicato in una delle versioni della newsletter Dispenser.